Notizie

Marcella Bertuccelli Papi, Do you speak COVIDish?

Prima o poi qualcuno doveva pur accorgersi che il virus anglico ha  approfittato della pandemia per infettare ancora un po’ la nostra lingua! Dai social e dai report giornalistici impariamo a tenerci alla larga dalle droplet (le goccioline) e  discutiamo il timing dell’epidemia, le modalità del lockdown, la distribuzione dei kit per gli esami seriologici, la conversione di alcune strutture a COVID hospital, la creazione di software per le app, con i connessi  pericoli di data breach, e i dubbi sull’affidabilità degli screening,  e anche dei termoscanner (meglio il classico termometro) cui saranno da preferire le termocamere (intese non come camere da letto ma come telecamere) usate anche dagli hub dei trasporti. Intanto gli studenti si attrezzano con device scolastici e videotutorial per l’e-learning, le aziende con lo smart working e l’e-commerce per salvare il brand, e gli economisti chiedono all’Europa Eurobond, o Coronabond, anche nella declinazione più realistica di Eurofund, come suggeriscono le varie task force di esperti e tecnici cooptati per aiutarci ad uscire da questa grande crisi. E penseremo finalmente ad una Fase 2 con tanto di bike sharing, menù contactless e e digital al ristorante, e sportelli di ascolto per medici e infermieri contro il burnout.

Da un lato l’Accademia della Crusca, dall’altro Paolo di Stefano e Beppe Severgnini sul Corriere della Sera, puntano giustamente il dito sull’uso di un lessico inglese per parlare di cose che potremmo benissimo dire in italiano. Giusto. Se non fosse che talvolta, quando proviamo a dirle in italiano produciamo a volte effetti semplicemente esilaranti, come “Boris Johnson è stato testato positivo” (apparso su un autorevole quotidiano) , altre volte creativi, come un “lockdown parziale” (ma se lockdown è chiosato “chiusura totale” come fa ad essere parziale? Tanto vale parlare di isolamento o confinamento parziale) o anche un “lockdown severo” secondo un uso diffuso soprattutto in medicina di questo calco dall’inglese che spodesta il nostro concetto di severità nel senso di intransigenza, rigore, per sostituirlo con quello dell’inglese “severe” che però significa “ grave”. Per aggiornamenti sullo “stato dell’arte”, o per “evidenze” delle sperimentazioni in corso, si consiglia di non watsappare e twittare gli amici, o guglare i soliti siti. Ricordiamoci che l’attuale pandemia non è “virale” perché condivisa da milioni di utenti su Internet, ma perché causata da un virus che non è per niente virtuale.

 

Marcella Bertuccelli Papi